Molti di noi varcano la porta dei propri luoghi di lavoro con sentimenti diversi a seconda del giorno della settimana (lunedì e venerdì specialmente) o anche del nostro umore personale, cercando di lasciare fuori e portare dentro questi spazi tutto ciò che c’è di positivo o negativo. E permettendo anche alle esperienze costruttive (e perché no, distruttive) di ispirarci, soprattutto nel nostro mestiere, a base fortemente creativa.
Ecco: questo ora è stato traslato su un piano distante e che ci fa fare i conti con nuovi equilibri basati su tempi d’attesa non definibili ed incerti a cui abituarsi. Ma dal cui calcolo possono risultare anche nuove possibilità.
Con l’emergenza COVID-19 in tanti – praticamente tutti – ci siamo (anche noi!) trovati umanamente impreparati davanti a questa situazione. Una pandemia improvvisa che sta portando dei cambiamenti epocali nella vita di ognuno.
Generalizzando, abbiamo “(ri)scoperto” che:
- lavarsi le mani e starnutire e tossire nel gomito (o in un fazzoletto) sono quelle buone ed elementari abitudini igieniche che dovremmo mantenere a prescindere da un’epidemia;
- il distanziamento sociale (ora che è coatto e lo abbiamo ben sperimentato) non è quella roba, da animali social(i) ma tendenzialmente asociali, a cui abbiamo sempre anelato quando ci siamo ritrovati confusi, annoiati ed esasperati dalla frenesia del quotidiano. Essere con gli altri e per gli altri è vitalità, oltre che vitale ;
- la “reclusione” forzata per tutelare non solo la nostra salute personale, ma anche quella degli altri e del sistema sanitario nazionale, è una regola e le regole sono – anche quando apparentemente insopportabili – sempre cosa buona e giusta a cui non si deve trasgredire per pura negligenza. Stiamo perdendo la memoria dei nostri Paesi e quantità di persone paragonabili a paesi interi. E questo dovrebbe pesare più di ogni uffa detto contro una norma che ci priva temporaneamente della libertà di una passeggiata;
- oggi è più che mai necessario, ineludibile e non più opzionabile sia adeguarsi alle dinamiche del lavoro mobile (il cosiddetto smart working) o di quello casalingo (entrambi ove possibile) e sia considerare che una buona educazione tecnologica ed informatica è una scelta obbligatoria per giostrarsi nei meandri della didattica smart come nella vita di tutti i giorni;
- la fruizione e operatività tramite l’innovazione tecnologica, insieme alla comunicazione digitale e al rivedere le dinamiche pubblicitarie e comunicative in generale non è un “di più”. È un punto a favore, è il nostro all in.
Se fino ad oggi tutto quello di cui sopra non si era considerato abbastanza o si è semplicemente rimandato o sottostimato, la realtà che ci siamo trovati di fronte, nostro malgrado, ci ha insegnato che nulla è più rinviabile al domani.
Vero è che stiamo constatando anche la sofferenza di molti settori industriali e lavorativi oggi in grande difficoltà, fermati e fermi davanti ad un nemico invisibile, impietoso e imprevedibile. Ma vero è, anche, che lì dove è già possibile e fattibile, urgono riflessioni importanti soprattutto sulla digital trasformation e sulla comunicazione digitale, quelle che uniscono, che servono, che sono necessarie perché se fatte bene e con criterio permettono di mantenere attive e vive intere realtà.
Chi è riuscito a far fronte all’emergenza ricorrendo subito a nuove forme di fruizione e diffusione dei propri servizi e prodotti – anche prendendo via via la mano con le potenzialità del digitale – (vedi il settore della cultura e dell’arte, per esempio) oggi non recupera sicuramente il tempo che sta trascorrendo inesorabile, non è un eroe e né è più fortunato, ma sicuramente si mantiene attivo, riuscendo a programmare anche quella “fase 2” che già da ora deve essere pensata tenendo in conto l’inevitabile trasformazione forzata a cui ci siamo dovuti abituare in così poco tempo, necessariamente.
In questi lunghi ormai 30 e passa giorni, abbiamo assistito a rocamboleschi e repentini cambiamenti a cui anche noi abbiamo dovuto adeguarci, nonostante le trasformazioni smart siano una grossa fetta del nostro lavoro di pubblicitari e comunicatori.
Essere creativi ed essere un’agenzia di comunicazione con forte vocazione digital è significato, ancora una volta, trovarci ad inseguire più velocemente queste variazioni. E meno male che ci abbiamo sempre creduto fermamente, perché credere nel nostro lavoro non ci ha fermato, ma ci ha dato la carica per andare avanti e creare una catena di “io rassicuro te, tu rassicuri me”, seppur attenti, rispettosi e vigili rispetto a quello che sta accadendo.
Insieme ai nostri clienti abbiamo rielaborato strategie, calibrato messaggi, riequilibrato linguaggi, trovato soluzioni pronte per l’immediato o che già guardano al domani. Ci siamo immedesimati da pubblico nei pubblici che oggi sono a metà tra l’urgenza del sapere e lo svagare della mente, tra la necessità delle news e la ricerca di un consiglio che faccia pensare alla vita che va avanti, nonostante tutto. Abbiamo scelto i colori più brillanti, i tratti più creativi e i codici migliori per continuare ad essere presenti nel presente, pensando al futuro di tutte quelle attività che non devono fermarsi ma prepararsi al grande ritorno. Abbiamo scelto come intrattenere sui social e a come e cosa comunicare con chi oggi si ritrova distante, ma unito dal digitale.
Da soli e insieme a chi ci ha scelto abbiamo imparato e stiamo imparando molto, e tutto questo “molto” sarà ulteriore esperienza per affrontare quello che verrà, oltre a quello che, nonostante tante incertezze, è già.
Ci vuole tanta costanza. Tanta umanità. Tanta empatia. Tanto coraggio. E tanta creatività. Questo è quello che abbiamo portato sempre nel bagaglio del nostro lavoro. E questo quello che oggi ci serve per guardare, seppur lungimiranti, all’unica cosa che abbiamo: un presente che sa di futuro.
Le abitudini e i singoli dettagli di quello che è stato fino a un mese fa, quelli che non abbiamo potuto “mettere in valigia” prima di affrontare questa strana era, nel frattempo sono rimasti sospesi ad attenderci sulla soglia del nostro domani, pronti ad accoglierci ancora per affrontare una nuova convivenza.
Nessuno, oggi, può affermare a posteriori un “ve lo avevamo detto”, ma dobbiamo tutti insieme prenderne atto.
Non consideriamoci in guerra. Pensiamoci in cura.
Non sentiamoci indietro. Manteniamoci pronti.
Non siamo sfiduciati. Siamo fiduciosi.
Dobbiamo e vogliamo esserci. Per continuare a creare, a sognare, a raccontare, a lavorare al passo con i tempi. Ideare e progettare contro la paura, il dolore e il dubbio, sempre pieni di emozione.
Crediamoci. Siamoci.
Facciamolo. Insieme.